Il Santuario

L’attribuzione “dei Lattani” alla Madonna e al Santuario nel suo complesso non è univocamente motivata. Vi è, infatti, chi sostiene che essa sia da riferire all’oronimo che ne indica la località di ubicazione e/o di rinvenimento della Sacra Icona, e chi fa riferimento anche ad una leggendaria capretta definita “lattifera”, che fu la causa del suddetto rinvenimento “miracoloso”. Altri ancora fanno riferimento a un luogo originariamente legato al culto delle fonti ed è proprio S. Maria delle Fonti, che la chiama P. Francesco Gonzaga nel sec. XVI.
L’intera storia del Santuario è legata, in qualche modo, al rinvenimento della Sacra Icona in pietra lavica della Madonna, che molti, in mancanza (finora) di prove oggettive, vogliono definire “leggendario” o, eufemisticamente, “tradizionale”.
- La fondazione del Santuario e le origini del culto di Maria SS dei Lattani
- L'Eremitaggio di San Bernardino
- La chiesa
- La facciata del Convento
- Il chiostro
- Il refettorio
- Le opere pittoriche
La fondazione del Santuario e le origini del culto di Maria SS dei Lattani

L’esame storico-artistico della stessa Sacra Icona (oltremodo difficile a causa della ridipintura avvenuta in occasione dell’ultimo “restauro”), sembra escludere una sua realizzazione in un’epoca anteriore alla seconda metà del secolo XIV, pertanto le ipotetiche collocazioni nell’Alto Medioevo da più parti ventilate sembrano, al momento, difficili da sostenere. Il culto della Madonna, invece, potrebbe ovviamente risalire la cronologia fino a quel tempo.
I radicali restauri degli anni 1962-1966 riportarono alla luce i resti di una struttura di dimensioni minori, rispetto a quelle dell’edificio trasformato nel 1430 da Tommaso de Peregrinis, e di epoca certamente anteriore a quella del rinvenimento della Sacra Icona. Ciò indebolisce la convinzione tradizionale, secondo cui l’origine del culto della Beata Vergine dei Lattani sia da ricollegare proprio a tale rinvenimento e rafforza quella della preesistenza di un culto a Lei legato, ma anteriore al 1430. Esso, in tale anno, avrebbe avuto un impulso decisivo e, in tal senso, è difficile dire se l’immagine dell’ente mistico oggetto del culto (la Madonna) sia da considerare la causa o il risultato di tale crescita devozionale. Che fossero legati o meno al rinvenimento della Sacra Icona, in tale data la tradizione colloca numerosi eventi miracolosi, che attirarono l’attenzione di San Bernardino da Siena e di San Giacomo della Marca, allora frati itineranti nel territorio di Sessa Aurunca, portandoli a visitare quei luoghi. I predetti santi sarebbero stati anche raffigurati ai fianchi della Beata Vergine nella lunetta del portale principale della chiesa, ma le loro immagini sarebbero state cancellate da una delle tante ridipinture e sostituite con quelle di due angeli. Al di là della tradizione, la presenza dei suddetti santi nel territorio di Sessa Aurunca tra il 1430 e il 1476 è un fatto storico e certamente essi non furono insensibili al grande slancio devozionale, che, come predetto, dovette verificarsi in quel tempo. Non è peregrina, dunque, la convinzione secondo cui la fondazione del Convento francescano dei Lattani e l’edificazione dell’“ospizio” (poi “eremitaggio”) di San Bernardino siano da attribuire proprio al Santo di Siena.
Il complesso conventuale è stato oggetto, nel corso di oltre cinque secoli di numerosi interventi di ampliamento, ristrutturazione e restauro, sicché appare oggi riccamente stratificato, sottolineando le diverse fasi costruttive in relazione ai periodi di maggiore floridità economica del santuario.
La presenza, in tutto il complesso, di un apparato decorativo particolarmente ricco, riconducibile in massima parte, soprattutto per quanto riguarda gli elementi scultorei, al periodo durazzesco e aragonese del Regno di Napoli, evidenzia il lavoro di una classe di lapicidi abili nel taglio e nella cesellatura della pietra.
Superato l’ampio portale di ingresso al santuario, si accede direttamente alla corte sulla quale si affacciano, da sinistra in senso orario, l’eremitaggio di San Bernardino e la fontana della Madonna, inserita in un arco cieco e sormontata da un quadro maiolicato (alcuni elementi della composizione sono stati recuperati da altre parti del complesso).
L'Eremitaggio di San Bernardino

La chiesa

Il portale di ingresso è in pietra calcarea bianca, realizzato in forme chiaramente classicheggianti, pur facendo riferimento ad un lessico ancora tardogotico. Esso è caratterizzato da un apparato decorativo a fasce piane che riquadrano il vano; la parte sommitale del portale termina con una cornice aggettante, retta ai lati da esili colonnine poggianti, in basso, su due leoni (quello di sinistra danneggiato nel corso dell’ultimo conflitto bellico), probabilmente materiale riutilizzato, proveniente da preesistenti costruzioni. L’architrave è, dal punto di vista decorativo, retto da due mensoline a voluta, chiaro riferimento a modelli napoletani quattrocenteschi. Sopra il cornicione è collocata una lunetta con un affresco della Madonna col Bambino tra angeli, inquadrata in un apparato decorativo a bassorilievo con un’insegna araldica sulla sinistra, il nome dell’artista e la data sulla destra: «Hoc / Opus / Fecit Magi / ster Berna / rdinus de / Gallo / 1507 / IHS».
Superato l’ingresso, caratterizzato da un portone in legno a due battenti di pregevole fattura, con ventiquattro riquadri a rilievo (i quattro in basso sono stati aggiunti quando è stato abbassato il piano di calpestio), si accede all’aula della chiesa, con un impianto ad unica navata con alcune cappelle laterali e copertura a volta a crociera costolonata su pilastri polistili. Di particolare interesse, alla destra dell’ingresso nella prima campata, risulta l’affresco che riproduce la forma di una pala d’altare, raffigurante le Storie della Vergine, impaginate in scomparti definiti da cornici architettoniche: un’architrave modanata per separare la parte superiore, centinata, da quella inferiore e pilastri decorati da un fregio a candelabra e sormontati da capitelli corinzi per dividere in tre riquadri il registro centrale. In basso al centro è raffigurata la Visitazione, mentre a destra della Visitazione, invertendo l’ordine usuale di lettura, è rappresentata la Nascita di Maria. A sinistra della Visitazione è la Presentazione al tempio. Nella cimasa, Maria, insieme a Giovanni evangelista, si duole, ai lati del Cristo crocifisso. La scena è ambientata in un vasto paesaggio con sfondo di cime innevate, popolato da figurette di soldati dipinti in monocromo, a piedi e a cavallo, che si dirigono verso due insediamenti: a sinistra un castello e un borgo fortificato, a destra una vera e propria città con edifici monumentali. In basso a sinistra si legge la data «1555», congrua con lo stile degli affreschi, che ripetono, provincializzandoli modi tardoquattrocenteschi di matrice campana.
L’aula della chiesa termina, sul fondo, con un’abside poligonale con volta ad ombrello, nella quale sono stati collocati i nuovi stalli lignei del coro dopo il restauro degli anni Sessanta del Novecento. L’illuminazione naturale interna è garantita da finestre a lancetta inserite in ogni campata.
Tale interno è il frutto di stratificazioni verificatesi nel corso dei secoli e, in ultimo, del già citato intervento degli anni Sessanta, che ha inteso riconfigurare la supposta originaria facies gotica. Tale intervento non ha, comunque, inteso modificare in maniera sostanziale la cappella della Madonna dei Lattani, lasciando in situ l’apparato esistente. La cappella si trova al centro della navata, sul lato sinistro (in corrispondenza della grotticella – ancora visitabile – nella quale, secondo la leggenda, fu ritrovata l’icona lavica della Beata Vergine), riccamente decorata, con altare in marmi policromi (datato 1783) che reca, nel paliotto, a rilievo, il simbolo francescano. Il ciborio è impostato su due volute discendenti e sormontate da una composizione a rilievo di buona fattura costituita da due putti, su cui è la colomba dello Spirito Santo. Altri due putti di dimensioni maggiori, molto ben definiti, occupano le posizioni degli “angeli reggifiaccola”. L’altare è sormontato da una nicchia incorniciata da un arco marmoreo a tutto sesto, riccamente decorato ad altorilievo con motivi sacri e classicheggianti. Il tutto è inserito in un’altra struttura decorativa a tempietto classico con architrave rettilineo modanato. La cappella, a cui si accede superando una balaustra in marmi policromi con decorazioni centrali fitomorfe a tutto tondo, ha la forma di un prisma a base quadrangolare, sul quale, mediante quattro pennacchi, in ciascuno dei quali è affrescata una differente immagine allegorica delle quattro Virtù cardinali (Giustizia, Fortezza, Prudenza, Temperanza), si appoggia un tamburo il cui continuum è riempito da lucernari che si alternano a metope affrescate con icone sacre. Ogni elemento è incorniciato con modanature in stucco di gusto tardo-barocco. Una cupola emisferica, appoggiata sul suddetto tamburo, culminante con un tondo affrescato con l’immagine della colomba dello Spirito Santo circondata da angeli, completa l’impiantito. Al centro degli spicchi della cupola sono otto tondi affrescati con ritratti di emeriti personaggi. L’intera cappella è riccamente decorata con figurazioni antropofitomorfe dipinte. Sulla parete destra è un affresco raffigurante l’Assunzione della Beata Vergine Maria, datato 1754 e firmato dall’artista «E. Conte», sormontato da un archivolto con un affresco raffigurante pure l’Assunzione fra angeli, ma datato 1920 e firmato dall’artista Luigi De Rose. Analoga composizione si trova sulla parete sinistra: un affresco del secolo XVIII, raffigurante la Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, è sormontato da un archivolto decorato con un affresco raffigurante la Madonna Incoronata dalle tre Persone della SS. Trinità. Sebbene non sia firmata, l’opera sembra attribuibile al De Rose.
La facciata del Convento

Il chiostro

Il refettorio

Le opere pittoriche

Testi ed immagini: "Inventario essenziale dei beni culturali ed architettonici esistenti nelle aree S.I.C. e nell'intero territorio della Comunità Montana Monte Santa Croce" - a cura di Giuseppe Angelone e Adolfo Panarello.